Pubblichiamo un articolo basato sull’esperienza personale di una collega di Pisa per aiutare i nostri utenti e clienti a comprendere e definire l’importanza e la delicatezza di una traduzione giurata o asseverazione.
La collega mi raccontava che stava lavorando ad una traduzione giurata dall’Italiano all’Inglese e che – dopo aver terminato la traduzione e predisposto il testo per il giuramento, come da prassi – si era recata nell’ufficio del Giudice di pace per l’asseverazione.
In Italia infatti – a differenza di altri paesi – non esiste la figura giuridica del traduttore ufficiale (spesso anche chiamato traduttore giurato): per cui, la traduzione giurata o asseverazione avviene attraverso un giuramento che il traduttore presta in tribunale, presso un giudice di pace o un notaio.
Mentre era in attesa di svolgere l’asseverazione, aveva iniziato a confrontarsi con alcuni colleghi che la precedevano: nel caso specifico, si trattava di due studentesse universitarie delle facoltà di medicina e di lingue straniere.
Chiacchierando, aveva appreso che la studentessa di medicina aveva deciso di auto-tradursi alcuni documenti personali (titoli di studio e certificati vari), chiedendo all’amica studentessa di lingue straniere di revisionarle la traduzione e farle da “traduttore prestanome” per poter svolgere l’asseverazione.
Un’azione del genere implica la consapevolezza che conoscere mediamente approfonditamente una lingua straniera (in questo caso l’inglese) sia sufficiente per svolgere in modo professionale una pratica importante e delicata come quella della traduzione giurata o asseverazione.
Ciò squalifica completamente – più di quanto già non faccia la deregulation istituzionale – il lavoro e la figura del traduttore professionista.
Mentre la collega era impegnata nella verifica del conteggio delle marche da bollo (necessarie in ogni traduzione giurata o asseverazione), una delle due ragazze le aveva chiesto se sapesse se il Giudice di Pace effettuasse anche la vendita delle marche da bollo.
Ovviamente, aveva risposto che – almeno ad oggi – Il Giudice di pace non è ancora un negozio di tabacchi (se lo sarà in futuro, sarà un’altra faccenda…), spiegando loro che le marche da bollo vanno acquistate prima di effettuare la traduzione giurata o asseverazione, che il numero varia in base alla lunghezza della traduzione ed infine precisando che – a seconda del paese di destinazione del documento tradotto – può essere necessaria anche la legalizzazione o l’apposizione dell’apostille.
Le aveva, dunque, invitate a rivedere molto attentamente la traduzione svolta, perché il traduttore attraverso il giuramento si assume responsabilità civili e penali relativamente alla traduzione effettuata. Quindi, accogliendo l’invito, una delle due studentesse le aveva chiesto di revisionare la loro traduzione.
La collega, incuriosita, aveva notato che sul primo foglio – al centro ed in maiuscolo – era tradotto: Minister of Justice.
Si trattava di un certificato del Casellario Giudiziale: sarebbe bastato un qualsiasi vocabolario bilingue per tradurre correttamente la parola italiana ministero con l’inglese Ministry.
Nel frattempo, però, era giunto il loro turno ed erano entrate nell’ufficio del Giudice di pace senza marche da bollo e con una traduzione pasticciata. L’esito era stato un disastro: il Giudice di pace si era categoricamente rifiutato di svolgere la procedura di asseverazione.
La collega mi ha fatto notare l’aspetto positivo di questa vicenda in cui ognuno di loro ha imparato qualcosa.
Da parte sua, era rimasta colpita dalla scrupolosità e dalla correttezza del Giudice di pace.
Dall’altra parte, invece – in base alle domande che le erano state formulate dalle due studentesse all’uscita dell’ufficio – il disastro intravisto e fiutato aveva avuto un suo effetto: in qualche modo, la collega era riuscita a trasmettere alle due ragazze la serietà ed il valore del lavoro di traduttore che considera essere una professione da svolgere con serietà, dedizione e passione e non un lavoretto per arrotondare le entrate mensili, svendendosi a prezzi da mercato pur di acquisire commesse e nuovi clienti.
Non possiamo non essere d’accordo e condividere tale esperienza a beneficio dell’intera categoria, dei nostri lettori o potenziali clienti, affinché ci si renda conto che effettuare un lavoro di traduzione ha la stessa pari dignità e valore di quello svolto da un qualunque altro libero professionista (avvocato, notaio, commercialista, architetto, ecc…) cui si è disposti a pagare l’esecuzione dei lavori in base alle tariffe previste dall’onorario di ciascuno – spesso alte – pur di ottenere un servizio di qualità. La qualità ha un suo valore e costo in qualunque campo. Soprattutto se si ha che fare con lavori delicati ed importanti come quelli di natura intellettuale.